I Ferragnez? Chiara Maci? Super influencer che muovono milioni di utenti, ma che di fatto risultano poco ingaggiabili dalla maggior parte dei brand. Sì, perchè se ci troviamo nell’era di una nuova content guerrilla, a colpi di contenuti di qualità, sono davvero pochi i marchi che possono permettersi influencer di fama mondiale.
Se a questa situazione si aggiungono i costi richiesti delle grandi agenzie – spesso poco gestibili dalle aziende – è chiaro come l’attenzione del cliente si rivolga sempre più spesso ai cosidetti micro-influencer: consumatori, user generated content, o anche dipendenti che possono diventare veri e propri brand ambassador.
Non solo: in un momento di ritorno all’autenticità, dove il consumatore, di fatto, acquista solo se si fida, coinvolgere “piccoli” protagonisti del web può rivelarsi anche una scelta vincente, grazie ad una maggiore vicinanza con gli utenti. Trust is the new business, potrebbe essere il claim di questa nuova tendenza, in cui la credibilità la fa da padrone (ma anche da influencer) e i contenuti producono un maggiore impatto a favore del marchio.
Non è un caso che, secondo il Global Trust in Advertising Survey di Nielsen, due terzi dei consumatori si fidano delle opinioni pubblicate online. Presto detto, e pubblicato: ricette, video- tutorial personalizzati, stories che raccontano (anche) una quotidianità in cui si inserisce un prodotto o un servizio. E’ un attimo, e i micro influencer diventano creatori di contenuti di valore per le aziende, credibili perché più “vicini” alla community, e quindi ai potenziali consumatori.
E’ per questo motivo che i leader dei brand tendono sempre più a coinvolgere piccoli influencer (tra cui, udite udite, anche i dipendenti!) nella promozione. Il futuro in cui le risorse umane valuteranno nei candidati non solo le capacità attinenti al lavoro, ma anche le loro skills in termini di network è più vicino di quanto si possa credere.
Aspettare per credere. E nel frattempo, usare Instagram.